L’anoressia, il ritiro sociale, l’autolesionismo e il suicidio impattano infatti molto meno dal punto di vista mediatico, ma costituiscono un’emergenza altrettanto importante, drammatica.
Sintetizzando all’estremo la complessità di queste visioni, ci si imbatte in due approcci differenti. Il primo sostiene che le nuove generazioni abbiano avuto tanto, anzi troppo; troppa libertà, troppo amore; troppo smartphone, troppi social e videogiochi. Agli adolescenti sarebbero mancati i limiti e i paletti che l’adulto avrebbe dovuto porre sin dalla nascita. Questa visione spinge a individuare rimedi che rimetterebbero al centro dell’educazione l’autorevolezza adulta, tramite iniziative come la bocciatura per condotta inappropriata a scuola e petizioni che limitino l’utilizzo di smartphone e social ai più giovani.
La prima visione colpevolizza i genitori e internet, dichiarando che chi vuole bene ai propri bambini e studenti li deve valutare severamente a scuola, sanzionare e togliergli anche la possibilità di utilizzare internet in adolescenza, sostenendo che esisterebbero evidenze scientifiche a sostegno del fatto che l’ansia e la depressione generazionale siano causate dai social. La seconda visione ritiene che l’utilizzo smodato dello smartphone, delle fotocamere e dei social sia quello di tutti gli adulti, i quali non intendono rinunciare a niente, tanto più nella vita reale, e che piuttosto che rendersi conto della società complessa e «onlife» che hanno creato e dell’assenza di prospettive future lasciata in eredità alle nuove generazioni preferiscono individuare nello smartphone il responsabile dello scempio, non ripassando le regole sacre della ricerca scientifica che distinguono tra correlazione e causalità. La prima visione promuove l’idea che le nuove generazioni non abbiano imparato a modulare i propri comportamenti perché vivono immersi nei social, nei videogiochi e nella sovrabbondanza di tutto che impedisce di tollerare la frustrazione. La seconda tiene conto della difficoltà del mondo adulto e delle istituzioni ad adattarsi alle nuove esigenze evolutive di bambini e adolescenti ma anche della proposta di modelli di identificazione adulti particolarmente competitivi e individualisti.
Una società dove il successo personale prevale su tutto e lo spazio per esprimere le emozioni scomode, negative, come la tristezza e la rabbia non esiste, impedendo così a questi vissuti di trovare un ambito relazionale di riconoscimento e di elaborazione.
Queste due visioni sostengono politiche preventive, educative e formative del tutto differenti. Credo che sia giunto il momento in cui ognuno dovrebbe chiarire la sua posizione e muoversi di conseguenza. Vietare, sanzionare e dare la colpa al cellulare o aggiungere pensiero critico e relazione adulta sintonizzata sulle verità affettive e il dolore di figli e studenti? Fornire a genitori, insegnanti ed educatori poche regole semplici, adatte a tutti in funzione dell’età anagrafica raggiunta dal pargolo o ascoltare davvero l’unicità di ogni figlio e studente, cercando di sostenerlo in base alle sue caratteristiche specifiche e provare ad amarlo per quello è, anche se non ci piace?
Cercansi disperatamente adulti autentici, autorevoli e responsabili.